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Comunicazione

Etimo: dal latino communicare, mettere in comune derivato da cum, con + munire,costruire
Sign: trasmissione e distribuzione di informazioni nello schema mittente-ricevente

Ci siete maqualidesigner? Siamo in comunicazione?

Partiamo da qui.
Abbiamo inventato le vie di comunicazione (alcune esistevano già, diciamo che le abbiamo solo pensate come tali) e dopo le vie, ovviamente, ci occorrevano i mezzi per percorrerle e quindi abbiamo inventato i mezzi di comunicazione.
Perchè iniziare con questa prospettiva a parlare di un argomento così delicato e complesso quale è la comunicazione?
Perchè la comunicazione è un viaggio.

Un viaggio di messaggi, siano essi sotto forma di parole o di di-segni, che partono da un luogo per arrivare in un altro. (Il luogo è inteso in senso ampio, anche una persona può essere un luogo. n.d.r.)

Il viaggio di questi messaggi è avventuroso e imprevedibile perchè i fattori in gioco per mettersi in comunicazione sono molti e diversi e i fattori si intrecciano, si annodano e in tutto questo aggrovigliarsi possono anche crearsi confusioni.
E’ vero che ci piace suddividere la comunicazione in verbale e non verbale, linguistica o corporea, etc. ma la comunicazione è una ed unica; si certo, ha molte sfaccettature ed è più facile studiarla se prendiamo un settore alla volta ma il risultato di una comunicazione è sempre una somma.

Quindi possiamo analizzare, studiare e cercare di prevedere come si combineranno tutti questi fattori ed è qui che sta la magia della comunicazione, di quella fatta con una certa consapevolezza. Perchè di magia si può parlare se visualizziamo il viaggio di messaggi che nonostante attraversino la tempesta (causata dai fattori che si relazionano tra loro) riescono comunque a prendere il largo e arrivare a destinazione.

Per concludere, la comunicazione è l’arte di mettere in comune e ciò che è in comune ha il potere di far costruire insieme.
A questo serve la comunicazione così come ci ricorda il suo etimo.

Quindi apriamo le orecchie, gli occhi, le mani e tutti i sensi che abbiamo per comunicare con il mondo quello che vogliamo condividere per costruire insieme ad altri qualcosa che abbia realmente significato.

Mettiamoci in comunicazione e restiamoci maqualidesigner! Buon viaggio!

Parola

Etimo: parabole, parabola-parola
Sign: complesso di fonemi (e di relativi segni grafici) con il quale l’essere umano si esprime

Le parole hanno dei limiti. O meglio, le parole sono dei limiti.
Ma andiamo con ordine.

Parola arriva dal greco parabole, più nota a noi come la parabola cristiana.
L’origine del termine che noi usiamo così frequentemente e in molti e diversi contesti (abbiamo già giocato con le “parole” nel primo post di questa rubrica) arriva dalle parabole. Anticamente le parabole servivano a chiarire attraverso il confronto (il verbo greco “paraballo” vuol dire confrontare) un argomento complesso avvicinandolo a uno più chiaro e noto. In epoca cristiana le parabole erano racconti di storie immaginarie ma potenzialmente reali che avevano lo scopo di evidenziare un insegnamento, una verità.

Le parabole insomma erano insiemi di parole che avevano l’intento di dimostrare/spiegare/raccontare altro rispetto a loro stesse.

Bizzarra origine per quello che noi riteniamo il miglior strumento di comunicazione a nostra disposizione.
Che lo dichiariamo o no cerchiamo sempre di ridurre tutto a parole (e non che questo non sia importante o non vada bene) ma non è sufficiente.

Quando un pensiero, che è illimitato e infinito per sua natura, si concretizza in una parola accade che lo stesso pensiero venga limitato all’interno di segni (grafici o fonetici). La parola è quindi quello strumento di estrema sintesi che ci permette di dare una prima dimensione reale al pensiero. In questa trasformazione l’infinito resta solo nell’immaginario, la parola limita ciò che il pensiero poteva espandere, perchè lo riduce ai minimi termini. Questa contrazione è in grado comunque di un’azione potente: l’immaginazione.

La parola limita, si, ma contemporaneamente evoca, fa immaginare: limita il reale  per illimitare l’irreale.
Ed è così che le parole muovono le persone alle azioni, le azioni creano esperienza che è in grado di ricreare pensieri e quindi altre parole dando vita ad un eterno ed infinito ciclo creativo.

Le parole sono dei limiti, si, ma è bene guardare questi limiti come qualcosa oltre il quale spingersi, ogni tanto; in questo senso, andando oltre al limite delle parole, entriamo nel ciclo creativo dove tutto è possibile.

E con questa affermazione espandiamo il potere creativo della parola oltre il suo limite fino a voi maqualidesigner! Buone parole per tutti!

Disegno/Design

Etimo: de, di + signum, segno
Sign: rappresentazione per mezzo di segni

Due elementi: la preposizione di e la parola segno.
Sconvolgendo l’ordine partiamo dalla seconda, andiamo subito a segno.
La semiotica definisce i segni come “qualcosa che sta per qualcos’altro, a qualcuno in qualche modo”, definizione articolata che ci introduce la vastità che si racchiude dentro a questo termine.

Quello su cui ci interessa riflettere è che con i segni lasciamo il segno e questo segno cade, si dilata e prende spazio in un sistema complesso di interazioni/interpretazioni/valori in cui agiscono soggetti/oggetti diversi in contesti/situazioni diverse.

La preposizione “di” ci introduce il fatto che stiamo utilizzando i segni come mezzo o come materia o come stato in luogo o come il fine di qualcosa.
I segni diventano disegni in quanto rappresentazioni (già visibili o ancora mentali) di espressioni di messaggi fatti “
matericamente” di segni.

La complessità dell’origine di questa parola e delle numerose sfaccettarure dei termini che la compongono ci conforta sul perchè la figura del designer (disegnatore in senso lato) sia ancora così nebulosa, poco chiara e difficilmente definibile ancora oggi.

Ma noi non diamo segno di sconforto maqualidesigner e continuiamo ad andare a segno (o almeno ci proviamo) con i nostri di-segni-di-design!

 

 

Espressione

Etimo: dal verbo esprimere formato dal lat. ex + primere
Sign: risultato di un movimento dall’interno verso l’esterno grazie ad una pressione

La bellezza di questa parola sta nel verbo che la compone, premere, associato all’avverbio fuori. L’espressione è qualcosa che, come ci suggerisce l’etimologia, viene spremuta fuori, schiacciata con forza verso l’esterno. Il verbo premere non indica certo una delicatezza nel l’azione ma al contrario una decisione, una pressione, una forza.

L’origine della parola ci suggerisce inoltre un movimento: un passaggio dall’interno all’esterno: come il succo dell’arancia che arriva dal frutto che viene tagliato in due, pressato su uno spremiagrumi e quindi è libero di sgorgare dall’interno della scorza che lo proteggeva nel nostro bicchiere o come le nostre espressioni facciali che schiacciano, stirano e contorcono i muscoli per tirare fuori stampandolo sul nostro viso quello che sentiamo/pensiamo.

L’espressione è quindi il risultato di qualcosa che è stato concepito dentro e che non potendo/volendo più stare dove è stato concepito viene spinto con decisione verso l’esterno; il passaggio avviene tramite un canale, un filtro, un mezzo che permetta a qualcosa di immateriale di trasformarsi e trovare posto nella realtà per diventare appunto Espressione.

Con il termine parola abbiamo creato molti modi di dire nella nostra lingua:
diamo la parola, siamo di parola, facciamo giri di parole e giochi di parole, a parole è tutto facile se sappiamo cosa si nasconde dentro alle parole.
Parliamo quindi delle nostre parole, giocando con la loro etimologia e con i loro significati, andiamo alla scoperta delle radici per rivalutare le parole che abbiamo adottato come mezzo di comunicazione tra di noi, che usiamo per esprimere chi siamo e quello che facciamo e mi raccomando facciamone parola con tutti quelli che incontriamo, che la nostra migliore pubblicità è il passaparola, non lasciamo queste parole al vento ma prendiamo la parola, parola per parola, e mettiamo una buona parola per IN-UNA-PAROLA, la nostra nuova maqualerubrica!