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Sfatiamo un mito.
I render non sono belli.
I render sono il male.
Sono il male per il progetto, per i progettisti, per i committenti ma soprattutto sono il male per quello che amiamo definire con grande rispetto e devozione “target medio”.
Il target medio è mia mamma, tua sorella, la zia di tuo padre. Loro sfogliano le riviste dal medico, i giornali gratuiti in metro la mattina, in casi di estrema fortuna una copia di “cose di casa” perchè devono rifare il bagno. E per fortuna che esistono questi meravigliosi esseri umani che compongono il “target medio” perchè ci permettono di misurarci con sfide sempre nuove, ogni giorno, sul campo del progetto.
Una di queste sfide è quella del LINGUAGGIO.
Noi designer (desainer per il tm più avanzato) abbiamo un compito molto complesso ma incredibilmente appagante: riuscire ad esprimere i concetti con le immagini laddove le parole non possono, o forse devono, arrivare. Ed è per questo che fin dai nostri primi teneri passettini veniamo incoraggiati a diventare dei polistrumentisti, destreggiandoci in veri e propri decathlon alla ricerca dei modi che siano non solo più adatti a raccontare quello che siamo stati in grado di produrre, ma soprattutto come e perchè. Raccontarne il senso, insomma.
Non è una strada semplice quella della dimensione della rappresentazione, è una via tortuosa, un dedalo intricatissimo che vede l’eterna lotta tra alcune macrocategorie composte dai nostalgici della mano e della matita (con tanto di prospettiva aerea), dai fanatici del evergreen pantone e dai nerd che dagli due textures e ti sollevano il mondo.
Alla luce delle esperienze maturate (non tantissime, ma siamo in 4 e questo ci permette di moltiplicare le cose viste collocandoci verso un’età anagrafica superiore alla nostra), riteniamo sia molto complesso definire una “giustezza” della rappresentazione. Il bello del nostro lavoro è proprio quello di poter provare ed azzardare su carta o su schermo quello che più ci stuzzica, coltivando immaginari (ndr. di questo parleremo molto presto!) che permettano di andare oltre la conoscenza delle forme del quotidiano. è un lavoro di responsabilità quello di introdurre dei nuovi modi di guardare alle cose ed è giusto che la nostra figura se ne faccia carico.
Questo è quello in cui crediamo.
Poi però accadono cose come la presentazione dei render di Expo 2015. (qui una delle gallery completa)
In questi momenti, tra il serio e il faceto, con un sorriso che è più un ghigno di dolore, ci chiediamo semplicemente “PERCHè?”.
Perchè?


E allora non stupiamoci se il tanto amato target medio non l’ha capito che cos’è quest'”Expò”. Perchè laddove non sono arrivate le parole, le presentazioni, gli spot, le proteste, dove non è arrivato nemmeno Foody che poverino non è colpa sua, dovevamo arrivarci noi.
Noi cultori dell’immagine e del racconto senza parole.
L’immagine è un’arma potentissima: ha il potere di aprire le teste delle persone senza che queste quasi possano accorgersene. Ciò la rende uno strumento altamente democratico e che abbiamo il dovere di preservare, innovare e coltivare per arrivare a dialogare con consapevolezza con quel target medio che, soprattutto grazie a noi, avrà modo di evolversi e crescere a sua volta.
Non il render. L’immagine.
Per farlo servono progettisti che sappiano mostrare usando quanto di più democratico e accessibile dovrebbe esserci al mondo: la bellezza. 

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Maqualedesign promuove un progetto in cui crede molto e a cui invita tutti.

Si tratta del secondo evento di “Biblioteca Vivente” che si svolgerà nel Teatro del carcere di Bollate il prossimo SABATO 8 NOVEMBRE.

Il nome completo dell’azione è Biblioteca vivente fuori e dentro e per saperne di più potete visitare la pagina di Incontri Ravvicinati, un progetto di coesione sociale finanziato da Fondazione Cariplo e dal Settore Biblioteche del Comune di Milano.

L’obiettivo principale dell’azione è quello di creare un canale di dialogo tra il carcere e la città tramite strumenti non convenzionali, che partano dalla voce di chi il carcere lo vive quotidianamente. Per farlo si è deciso di usare proprio la Biblioteca Vivente, già sperimentata da ABCittà con successo lo scorso 7 GIUGNO nella bellissima cornice della Biblioteca di Parco Sempione (qui alcune immagini https://www.facebook.com/media/set/?set=a.657116621035434.1073741827.174886452591789&type=1) .

Einstein diceva che è più facile spezzare un atomo che un pregiudizio…e da gennaio sono stati raccolti in diverse occasioni tanti pregiudizi sul carcere, ma fuori da lì, proprio per capire qual è la visione di questo mondo dall’esterno. Questa lunga e “pesante” lista è stata poi riportata a Bollate ed è diventata oggetto di lavoro per un gruppo di oltre 20 detenuti. è stato chiesto loro di ragionare sui pregiudizi che li toccavano più da vicino e che avevano voglia di sfatare. per farlo ci sono voluti molti incontri, molta attenzione e delicatezza per ricostruire (e alle volte costruire) le loro storie… proprio come se scrivessero dei libri, appunto, ma in carne ed ossa!

SABATO 8 NOVEMBRE, a partire dalle ore 15, la sala del Teatro del Carcere ospiterà questo secondo evento. Che è un’occasione unica per entrare a contatto con una realtà altrimenti ignorata e apparentemente distante.

(L’iscrizione è OBBLIGATORIA ed è da effettuare entro il 30 Ottobre all’indirizzo bibliotecavivente@abcitta.org inviando NOME, COGNOME, N.DOCUMENTO D’IDENTITà VALIDO (+ comune di rilascio), CONTATTO TELEFONICO.)